Commento al convegno:
            
              
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              al volantino completo  
 
              
              
              Spiace constatare che, ancora una volta, un appuntamento importante 
              nelle intenzioni e tanto significativo per il contenuto, sia divenuto 
              passerella per interventi magniloquenti e autoreferenziali ed un 
              teatrino per i politici e dirigenti i quali, uno ad uno, hanno “frettolosamente” 
              abbandonato l’incontro non prima di aver lamentato la scarsa 
              presenza dell’imprenditoria, comunque in tempo per non ascoltare 
              le “testimonianze” (fra le quali quelle di alcuni imprenditori). 
              Un gesto di scortesia che rasenta la maleducazione.
              Spiace ma questo ci conferma nella convinzione che solo l’associazionismo 
              consapevole, attivo e possibilmente sinergico può favorire 
              la “crescita culturale” che sola può far germogliare 
              quella auspicata nel tema del convegno.
              Per fortuna che, prima del fuggi fuggi generale, si è segnalato 
              per lucidità e puntualità Davide CERVELLIN che, nel 
              suo intervento, polemico con chi l’aveva preceduto, ha demolito 
              la bontà della legge 68, una legge troppo complessa, 
              male articolata, contraddittoria e senza dotazioni finanziarie per 
              risultare uno strumento efficace, perciò pretenziosa 
              e discriminatoria. In ogni caso CERVELLIN contesta l’assunto 
              circa l’esistenza ventilata di due filiere produttive distinte 
              (l’una per i normo-dotati e l’altra per i disabili), 
              si è chiesto “chi sia il normale” ricusando ogni 
              etichettatura della diversità troppo spesso occasione per 
              alimentare stipendi improduttivi (rimpiangendo con amara ironia 
              la vecchia definizione di “handicap”). In ogni caso 
              è assolutamente sbagliato distinguere tra il collocamento 
              delle cosiddette persone "normali" ed il collocamento 
              lavorativo delle persone disabili. Esiste un solo collocamento per 
              persone che hanno delle abilità da spendere in ragione di 
              aziende che hanno bisogni da soddisfare. Semmai, il problema è 
              quello della formazione: la formazione della persona con 
              deficit dovrebbe avvenisse all’interno degli stessi binari 
              degli altri, il processo di integrazione lavorativa infatti dovrebbe 
              partire dallo stare insieme durante la formazione, “Cosa 
              serve stipendiare 80.000 insegnanti di sostegno” si è 
              chiesto? In ogni caso, ha proseguito, deve essere chiaro che “l’imprenditoria 
              valuta la convenienza economica del lavoro” e più che 
              mai nella congiuntura attuale non le si può chieder di sussidiare 
              il welfare. Ben vengano invece le borse lavoro, che prive di costi 
              aziendali e di legacci impostivi, possono veicolare al “collocamento 
              mirato” consentendo ai portatori di handicap l’opportunità 
              di misurarsi con le proprie capacità e contribuendo al superamento 
              di molti pregiudizi.
              Sulla “crescita sociale” inerente il lavoro si tratta, 
              invece, di rivedere gli stilemi odierni che, enfatizzando il ruolo 
              di calciatori e veline, fuorviano da ogni impegno etico-culturale.
              Grazie a CERVELLIN per averci fatto riflettere in termini propositivi 
              sul tema del giorno.
              Commoventi, infine, per la partecipazione emotiva e le testimonianze 
              portate sono stati gli interventi degli altri imprenditori presenti, 
              i quali –seppur con sfumature diverse – hanno dimostrato 
              come l’inserimento delle persone con difficoltà sia 
              possibile e pure ”utile” all’impresa.
              Quanto a favorire l’inserimento lavorativo 
              nelle aziende dei diversamente abili…. beh abbiamo 
              capito, cara Leda, che “non ci resta che piangere” oppure 
              rimboccarci le maniche noi delle associazioni e… lavorare! 
            
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